sabato 15 maggio 2010

V LEZIONE

Direttamente dal Salone del libro di Torino ecco a voi il prof. Lelio Alfonso. Subito ci propone i punti salienti della fiera: i nuovi e sempre più tecnologici supporti librari, l’ostico problema dei diritti d’autore, il dibattito sulla possibilità dei contenuti internet a pagamento e la tanto discussa questione della privacy.
Il prof pone una delle sue solite domande, che ci lasciano a bocca aperta, ci fanno guardare per aria o sul quaderno nella speranza che uno di noi risponda: a giugno arriverà l’iPad. Che cos’è?
Ora non posso dire di esserne un’esperta, ma so di cosa si tratta: è il computer “tavoletta” da 9,7 pollici prodotto dalla Apple che permette di navigare sulla rete e di avere grande capacità di memoria, alta qualità d’immagini, video e suoni. L’iPad è il connubio di un telefono cellulare evoluto e un computer portatile. Questo dispositivo multifunzione è utilizzabile anche come un ereared, in altre parole come un lettore di e-book. La nuova frontiera dell’editoria dunque punta sulla tecnologia e ne ribadisce la necessità: trascina i contenuti del cartaceo sul formato digitale senza alterare il rapporto di fidelizzazione che gli utenti hanno con il libro, con il giornale o con un qualsiasi testo tradizionale. E mette a disposizione tutti i vantaggi del digitale: multimedialità, ipertestualità, vocabolario contestuale.

Nel salone del libro si è messa in dubbio la gratuità del web. Internet è per definizione gratuito, nato per essere aperto a tutti: fruibilità e velocità sono il suo motto. Dopo la crisi dell’editoria (con conseguente crollo dell’introito pubblicitario,l’aumento dei passivi e l’infausto insuccesso del rialzo dei prezzi librari) gli editori hanno pensato di rivolgersi al mercato del web con servizi a pagamento.
Ma qual è l’opinione diffusa? Ovviamente un po’ per ignoranza, un po’ per l’abitudine all’informazione “a scrocco” gli utenti sembrano non condividere. Gli editori da parte loro non ammettono la totale e sterile gratuità e sostengono che (cito testualmente dal mio caro ed eminente collega Alessandro): Il contenuto culturale non può essere gratuito. Possono esserlo i titoli, i flash, le breaking news, ma non il commento dell'esperto, né l'intervista, l'inchiesta, o l'approfondimento. L'idea che sta alla base del paywall consiste nel favorire il riconoscimento del mestiere dei giornalisti, delle loro capacità professionali e, dunque, dell'esclusività della riproduzione dei contenuti.
Connesso al discorso del mancato business troviamo i diritti d’autore. La violazione è sempre stata sanzionata a livello finanziario , culturale e giuridico. Ecco l’art. 1 della legge del 1941:
Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
Accusare qualcuno di non aver rispettato questo diritto sul web è problematico in quanto non esiste ancora una legge completa e affidabile che regolamenti internet e i contenuti digitali. Dalla Francia Sarcoky propone di “tagliare” internet ai pirati, staccando letteralmente la connessione a coloro che scaricano i file protetti. Giudizio dalla Corte Costituzionale? Incostituzionale. Bocciata. In Germania e Inghilterra la legge è in via di sperimentazione. Nel nostro paese non si procede allo studio di una possibile normativa, ma la Camera dei Deputati riprende testualmente tutte le prime pagine dei principali quotidiani in un’apposita sezione denominata “rassegna stampa” (ecco il link per la verifica http://www.camera.it/). Quale l’esempio da seguire? Il web ha bisogno di una normativa che ponga fine al discount dell’informazione, che bocci l’indiscriminata violazione al copyright e che contemperi la criminosa inosservanza della privacy. Per ora nulla di fatto. Lavori in corso?
A voi la parola.
P.S. i compiti per casa: scoprire google e saperne scovare difetti e critiche
Good bye

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